Come nasce la Scuola MecWilly
“Quando ero bambino non riuscivo bene a definire cosa mi piacesse, ma qualcosa mi affascinava molto. Aveva a che fare con i progetti e la tecnica.
Smontavo le cose e recuperavo i pezzi che poi usavo per costruire. L’elettricità era una componente immancabile fin dalle mie prime invenzioni.
Ho iniziato ad avere parecchi pezzi quando mia zia mi ha regalato la sua vecchia segreteria telefonica, un apparecchio anni 70 pieno di parti meccaniche, elettriche ed elettroniche.
Nella foto qui sopra un temporizzatore dentro ad una scatola di orologio. Avevo usato i condensatori e il relè della segreteria telefonica, gli interruttori dell’asciugacapelli e la mascherina frontale del telecomando della televisione.
Il mio primo laboratorio era una scatola rossa di cartone che tenevo nell’armadio. Poi verso i 12 anni mi sono spostato in mansarda.
Qui sotto una scatola luminosa fatta con il contenitore di una sveglia e dei diodi led lampeggianti.
Ciò che più mi interessava era riuscire a costruire un robot. Uno dei primi lo avevo realizzato con una scatola di legno dei sigari del babbo a cui avevo incollato le schede elettroniche della vecchia allarme dei nonni. Purtroppo però non si muoveva e i circuiti erano solo ornamentali.
Ho utilizzato delle carcasse di vecchi monitor per realizzare un busto e un avvitatore come braccio.
Quest’ultimo era un bel robot ma non riuscivo a farlo muovere. Volevo partire dalle ruote che mi sembravano più facili ma il problema era motorizzarle, utilizzavo i motori sbagliati, non avevo nessuno che mi potesse spiegare come fare.
Qui sotto cercavo di costruire un robot come quello del film “Corto circuito”, avevo circa 17 anni. Nello sfondo il laboratorio.
A circa 20 anni avevo imparato ad utilizzare i motori passo passo che smontavo dai lettori di floppy disk, così sono riuscito a costruire Jeremy 14, il robot qui sotto.
“14” perché era il quattordicesimo robot che tentavo di realizzare. Lo comandavo tramite il computer e poteva assumere delle espressioni facciali.
Dopo molti altri tentativi finalmente sono riuscito a costruire un robot completo che ho chiamato MecWilly. “Mec” per meccanico e “Willy” era il nome del mio cane.
Molti dei pezzi utilizzati per costruirlo vengono dai “ferri vecchi“, il busto di alluminio è realizzato con la carcassa di un vecchio modem anni 80, a quel tempo i modem erano molto robusti e pesavano vari chili.
Gli occhi invece sono delle palline da ping pong. Nel video qui sopra è possibile vederlo in azione.
MecWilly era diventato un componente della famiglia e un giorno decisi di portarlo nell’ufficio in cui lavoravo e di utilizzarlo come impiegato robot.
Era un addetto alle informazioni con il compito di fornire indicazioni ai cittadini sulla posizione degli uffici e sul materiale occorrente per il rilascio di certificati e documenti. Come spiega qui sotto il servizio del tg5.
Successivamente ho iniziato una collaborazione con la facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna durata 8 anni.
Insieme abbiamo collaborato con numerose scuole utilizzando MecWilly, e altre sue versioni che ho realizzato ad hoc, per svolgere ricerche in ambito educativo. Il fine era verificare se i robot umanoidi possono in qualche modo facilitare l’apprendimento nella scuola dell’infanzia e nelle primarie.
È durante quel periodo che ho cominciato a svolgere i primi laboratori tecnici. All’inizio li effettuavo in una sala corsi dove mancava però il laboratorio dell’inventore, preziosa fonte di ispirazione per i bambini.
In seguito, alcune richieste fuori zona mi hanno portato a sperimentare la modalità online che con mio stupore si è dimostrata efficacie sia in termini di apprendimento che di coinvolgimento.
Questa modalità, mi ha permesso di ricreare la magia di quando da bambino guardavo i miei film preferiti e potevo sognare alimentando così la mia passione.
È così che nasce la Scuola per Inventori rivolta ai bambini dai 7 ai 13 anni.
E’ magica ma non è un film, oggi i bambini della scuola MecWilly possono parlare direttamente con l’inventore e dispongono della sua massima attenzione.
Seguo i bambini personalmente insegnandogli la tecnica nel modo in cui ho imparato io. Liberi di poter sperimentare e capire a modo proprio.
Credo infatti che spesso sia fondamentale parlare la lingua del bambino, perché non impariamo tutti allo stesso modo, ognuno di noi è “un mondo a parte” e ha bisogno di adattare i concetti alla propria rete di significati.”
Roberto